di Barbara Melgiovanni
LECCE | Chi l’avrebbe mai detto che l’Italia si trova al quarto posto europeo nella «classifica di litigiosità»? Eppure dai dati questo è ciò che emerge, pertanto risulta importante conoscere, scegliere e sfruttare al meglio le misure di risoluzione alternativa delle controversie, creando un nuovo modello relazionale volto alla generazione di accordi che limitino l’uso della giustizia civile. Se ne è discusso questo pomeriggio alle 17 al Museo Castromediano di Lecce, durante il convegno «Mediare è possibile. Per una giustizia efficiente e tempestiva», organizzato da Q.M. MediaConciliazione, organismo iscritto presso il ministero della Giustizia ed abilitato a svolgere le attività di mediazione e conciliazione.
L’apertura dei lavori è stata affidata ai saluti di Antonio Quarta, amministratore di Q.M. MediaConciliazione, a Filomena d’Antini Solero, assessore provinciale alle Pari opportunità. Un convegno aperto soprattutto per gli addetti ai lavori, con interventi molto tecnici e mirati che si sono aperti con quella che il moderatore ha definito «la madre del processo giudiziario»: Augusta Iannini, capo ufficio legislativo della giustizia, che ha illustrato come in un Paese come il nostro, dove le cause civili durano in media nove anni e i tribunali sono al collasso per via delle innumerevoli cause pendenti, un obiettivo che si è posto il legislatore è abbattere la mole di cause civili che ingolfano i tribunali. «L’elemento caratterizzante della mediazione – ha spiegato Augusta Iannini - è il cercare di condurre le diverse parti ad una soluzione che soddisfi, cercando i punti in comune e ciò che avvicina i contendenti».
Punto di merito in questo discorso che sembrerebbe dalle premesse filare liscio l’obbligatorietà per un certo numero di controversie dell’elemento mediativo. A calmare gli animi, soprattutto dei molti avvocati presenti, le spiegazioni della stessa: «L’obbligatorietà è solo un metodo per coinvolgere gli attori e diffondere la cultura della mediazione. Abbiamo dato compito agli avvocati di gestire il tutto. Per questo la reazione dell’avvocatura giunge in maniera del tutto inaspettata, non è un attacco nei loro confronti, semmai un’opportunità».
A replicare Mario Buffa, presidente della Corte d'Appello di Lecce: «La magistratura è scettica – sottolinea - Si parla di privatizzazione della giustizia. Ho dei dubbi sui risultati di questo procedimento, ma da giudice mi impegno per far funzionare la mediazione nonostante queste perplessità. Ma mancano i mezzi, basti pensare che in tutto il distretto di Lecce vi sono solo sette computer e anche di scarsa qualità».
L’attenzione è poi andata sulla formazione di questi mediatori, lamentando il fatto che non è gestita da professionisti. «Sarebbero sufficienti 50 ore di formazione e una laurea triennale per potervi accedere». La parola è poi passata a Loredana Capone, in doppia veste: quella di vicepresidente della giunta regionale che di avvocato, che ha ricordato come la giustizia civile abbia, in effetti, la pecca dei tempi troppo lunghi e ha puntato il dito sull’obbligatorietà dell’iter: «Se vogliamo veramente puntare sulla giustizia dobbiamo impegnarci a non imporre, quanto piuttosto a sensibilizzare i nostri cittadini alla cultura della conciliazione.
Io credo che l'obiettivo principale dovrebbe essere quello di migliorare il funzionamento della giustizia ordinaria accorciandone i tempi, potenziandone le risorse. La distrazione da quell'obiettivo potrebbe addirittura rischiare di fare danni. Il fallimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, che aveva nel processo del lavoro la stessa funzione di quella che oggi si chiama media conciliazione, lo dimostra». E l’intervento si è chiuso con un auspicio: «Che possa finalmente intervenire una riforma organica della giustizia civile, in modo che né enti né cittadini possano rimanere vittime di giustizia negata a causa della lunghezza dei processi».
Venerdì 11 novembre 2011
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