Lecce | migliaia di operazioni contabili illecite eseguite dal conte e dal suo collega

«Buco nero» di 19 miliardi di lire al Banco di Napoli: a dieci anni di distanza la sentenza

L'inchiesta era iniziata nel novembre 2000, con il tentato suicidio del conte Giuseppe Alberti di Catenaya. Da quel momento in poi le indagini portarono alla luce un gigantesco ammanco di quasi 20 miliardi di lire

di Valentina Castelli

Palazzo di Giustizia
Palazzo di Giustizia

LECCE | Un colpo di pistola calibro 7.65, esploso all’improvviso dietro la nuca. Così, il conte Giuseppe Alberti di Catenaya, erede di una grande dinastia, persona molto raffinata, funzionario di banca e grande imprenditore, tentò di porre fine alla sua vita in un pomeriggio di novembre del 2000, proprio nell'ufficio dello storico palazzo del Banco di Napoli, dove lavorava. Ma il tentativo di suicidio non andò a buon fine: i suoi colleghi lo soccorsero immediatamente, e fu poi trasportato d'urgenza all’ospedale «Vito Fazzi» dove ingaggiò una battaglia durata giorni contro la morte. Mentre fuori dall'ospedale la gente incredula, continuò a domandarsi le ragioni di un gesto all'apparenza così insensato.

UN BUCO DI 18 MILIARDI DI LIRE | E furono necessarie ancora lunghe giornate di indagini per svelarne il mistero: quel pomeriggio in banca aleggiava la presenza degli uomini dalla Gico e della guardia di finanza, impegnati nei controlli di routine. Catenaya era spaventato, nervoso, perché sapeva a priori che gli agenti, dopo i controlli e gli accertamenti disposti dall’istituto di credito sull’attività del suo ufficio, avrebbero scoperto il gigantesco ammanco di 18 miliardi di lire di cui era responsabile. Temeva che l'abile truffa miliardaria sarebbe venuta alla luce, e non si sbagliava: dopo giorni e giorni di ricerche i militari scoprirono il grosso buco nelle casse del Banco di Napoli, una somma di denaro che era stato sottratto dal funzionario dell’ufficio Ordini, versamento e addebito in nove anni, nel periodo compreso fra il 1991 e il 2000.

OPERAZIONE «BLACK HOLE» | Catenaya non agì da solo ma con la complicità del suo collega d'ufficio che lo aiutò ad effettuare le migliaia di operazioni contabili, a volte lecite per non destare sospetti, la maggior parte delle volte illecite, che contribuirono a raggiungere quella folle cifra. L’attività d'indagine che venne denominata dalle fiamme gialle operazione «Black hole» ossia «Buco nero», necessitò anche dell'intervento di un supporto di consulenza, per decifrare la gran mole di movimenti contabili. Secondo l’allora pubblico ministero Maria Cristina Rizzo, il conte avrebbe sottratto la somma di denaro che la Camera di Commercio avrebbe dovuto accreditare alla Banca D’Italia, su intermediazione dei conti del Banco di Napoli. Successivamente i due uomini avrebbero fatto confluire le cifre a otto zeri su un conto aperto nell'ufficio postale della città. Solo nel 1991 furono rubati 2 miliardi di lire: appare evidente come solo attraverso operazioni illegali ai due funzionari sarebbe stato possibile prelevare somme tali.

UN PATRIMONIO INESTIMABILE SOTTO SEQUESTRO | Eppure il conte non aveva certo problemi economici, al contrario godeva di un patrimonio inestimabile: un oleificio sulla statale Lecce-Gallipoli, due società di capitali, tre quote societarie, più di 80 ettari di uliveti, 7 automezzi, appartamenti e un’azienda agricola. Forse dietro l’immagine di un uomo probo e gentile si celava un uomo interessato ad accumulare ricchezze su ricchezze. Quasi tutto il suo patrimonio era intestato alla moglie Anna Antonia Resta e venne posto sotto sequestro. Dato che il valore complessivo dei suoi possedimenti era quasi pari alla somma rubata, Resta e il collega di Catenaya furono iscritti sul registro degli indagati con l’accusa di riciclaggio. Finirono sullo stesso registro anche altre otto persone. Catenaya morì pochi anni dopo aver tentato il suicidio.

LE CONDANNE | Il pubblico ministero Caterina Rizzo, nella requisitoria del marzo 2010 aveva chiesto condanne pesanti: per Carlo Frisullo 57enne di Lecce 4 anni e 6 mesi; per Giacinto Bianculli 63enne di Lecce 6 anni; per Paolo Ruggieri 65enne di Tricase ma residente a Trieste 7 anni e 6 mesi; per Amedeo Prato 65enne di Lecce 6 anni; per Annunzio Sciolti 48enne di Vernole 4 anni e 6 mesi; per Anna Puce 44enne di Vernole 4 anni e 6 mesi più 1.500mila euro di multa e per Anna Antonia Resta 63enne di Galatone ma residente a Lecce 6 anni più 2mila euro di multa. Assoluzione per Alessandro Margiotta.

LA SENTENZA EMESSA NEL POMERIGGIO | Dopo dieci anni la sentenza, emessa dal presidente Silvio Maria Piccinno, a latere Fabrizio Malagnino e Anna Paola Capano, è stata: 5 anni di reclusione per Bianculli; 4 anni di reclusione per Frisullo; 5 anni per Resta. Assolti invece Margiotta, Ruggieri, Prato, Sciolti e Puce. In difesa degli imputati gli avvocati Giuseppe Bonsegna, Luigi Capone, Silvio Caroli, Giuseppe Conte, Stefano De Francesco, Marco Malinconico, Luigi Rella e Vittorio Vernaleone.  Si costituirono parte civile Il Banco di Napoli e la Camera di Commercio con i legali Angelo Pallara e Stefano Prontera.

Mercoledì 30 novembre 2011